Nel cor più non mi sento. Piffetti e il rebus dello spartito

Tavolo da muro di Pietro Piffetti

Tavolo da muro di Pietro Piffetti, 1730-1740 circa, impiallacciato in palissandro intarsiato in legni vari policromi e avorio, bronzo dorato.
Collezione Intesa Sanpaolo, in prestito alla Reggia di Venaria

Presentato alla mostra Genio e Maestria. Mobili ed ebanisti alla corte sabauda tra Settecento e Ottocento (Reggia di Venaria, Sale delle Arti, 2018) dopo il restauro presso il Centro Conservazione e Restauro La Venaria Reale, il tavolo è stato riproposto nelle Sale dei Paggi nell’esposizione Il Piffetti ritrovato.

La proroga del prestito da parte di Intesa Sanpaolo, nelle cui collezioni l’opera è entrata per acquisto nel 1962 dall’antiquario Pietro Accorsi, consentirà al pubblico di ammirarla ancora fino a giugno 2021 nella Camera di udienza della regina, nel percorso di visita della Reggia, e di scoprirne la storia che cela più di un enigma.

Proprio trecento anni fa Piffetti iniziava come mastro ebanista la sua fortunata carriera. Nel 1731, al suo rientro da Roma, riceve la nomina a Ebanista del re, carica creata appositamente per lui da Carlo Emanuele III.

Nel corso del soggiorno romano frequenta con ogni probabilità la bottega dell’ebanista parigino Richard Lebrun e conosce Pierre Daneau.

Questo tavolo, insieme al gemello conservato al Victoria & Albert Museum di Londra e ai due simili di Palazzo Madama-Museo Civico d’Arte Antica di Torino, testimonia il debito verso i modelli d’oltralpe nel magnifico intarsio floreale della mensa sagomata.

Un cesto rigoglioso di fiori, al di sotto un mascherone e ai lati girali fogliacei con due uccelli rapaci con occhi di madreperla decorano infatti il piano con sapienti intarsi in legni policromi e avorio.

La curiosità, su cui ha posto l’attenzione Roberto Antonetto nel 2010, è però la presenza all’angolo sinistro di uno spartito a trompe-l’oeil con l’inizio di una celebre aria. Non è raro ritrovare simili citazioni tra i preziosi intarsi rococò di Piffetti, appassionato di musica e di raffinati divertissements. Qui si tratta dell’adagio «Nel cor più non mi sento brillar la gioventù» dall’opera «L’amor contrastato» o «La molinara» di Giovanni Paisiello rappresentata per la prima volta nel 1788 a Napoli (e a Torino nel 1790 al Teatro Carignano). Ma a quella data Piffetti è già morto da una decina di anni e il tavolo stilisticamente si ricollega a esperienze precedenti.

La pagina musicale intarsiata è rivolta verso il muro, scomoda per chi legge, su legno non pregiato e con alcuni errori. Un inserimento successivo, dunque.
Nella complessa vita dei manufatti d’arredo non mancano riusi, assemblaggi e interventi di adeguamento di gusto.
Bisogna allora ritornare sempre all’opera e continuare a guardare, come sembra suggerirci da sotto il tavolo il puttino allegorico in bronzo dorato con il cannocchiale.

In relazione con la console londinese, dove il puttino osserva un mappamondo e l’intarsio illusionistico è il frontespizio del libro «Il ritorno del cuore a Dio», si rimanda forse al tema dell’amor sacro e profano e del rimpianto della giovinezza? E, poi, chi sarà stato il committente?

Come in un rebus, tracce e variazioni, sulle note di questa popolare aria, ripresa da Beethoven, Paganini e Bottesini.

«Nel cor più non mi sento
Brillar la gioventù
Cagion del mio tormento,
Amor, sei colpa tu.
Mi pizzichi, mi stuzzichi,
Mi pungichi, mi mastichi;
Che cosa è questo ahimè?
Pietà, pietà, pietà!
Amore è un certo che,
Che disperar mi fa».

Ascolta l’Adagio «Nel cor più non mi sento brillar la gioventù» dall’opera «L’amor contrastato» di Giovanni Paisiello.
(Accademia del Santo Spirito: Maria Valentina Chirico soprano, Andrea Banaudi cembalo, 2018).

Silvia Ghisotti, capo conservatore, Consorzio delle Residenze Reali Sabaude, Reggia di Venaria
Clara Goria, storica dell’arte, Centro studi e ricerca delle Residenze Reali Sabaude

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