Venezia a Venaria – Un’opera ritrovata di Palma il Giovane
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Jacopo Negretti detto Palma il Giovane (Venezia, 1548/1550 circa – 1628), La Battaglia di Lepanto, olio su tela, fine XVI – inizio XVII sec., cm 331×671,5. Pallanza (Verbania), Villa San Remigio, Regione Piemonte (in comodato alla Città di Verbania), esposto alla Reggia di Venaria, Sacrestia.
Ancora una volta la Sacrestia della Cappella di Sant’Uberto presenta una importante opera restaurata, la monumentale tela con la Battaglia di Lepanto del celebre pittore veneto Palma il Giovane, qui allestita da alcuni mesi dopo un impegnativo intervento del Centro Conservazione e Restauro La Venaria Reale, durato quasi due anni e realizzato grazie anche al contributo del Consorzio delle Residenze Reali Sabaude.
L’esposizione si inserisce nel filone di attività della Reggia di Venaria legate al progetto Salva Italia dell’Arte e della Cultura, inaugurato nel 2012 dalla piccola mostra dossier dedicata al restauro della Crocifissione di Tintoretto dei Musei Civici di Padova, e finalizzato al recupero e alla valorizzazione di opere, magari poco note, del patrimonio artistico italiano.
Il quadro fa parte della collezione della Villa San Remigio a Pallanza sul Lago Maggiore, acquisita nel 1977 dalla Regione Piemonte e data in comodato alla Città di Verbania. Da qui provengono anche le due Allegorie di Paolo Veronese, che dal 2014 fanno bella mostra di sé alla Reggia di Venaria, costituendo così un importante nucleo di opere venete.
Si tratta di un dipinto di destinazione sacra, come dichiara la processione di confratelli domenicani, che portano la statua della Madonna del Rosario, a cui la battaglia di Lepanto fu consacrata. Tale presenza rimanda all’originaria provenienza. Venne infatti commissionato a Palma il Giovane, pronipote del più noto Palma il Vecchio, insieme a un’altra tela raffigurante Le anime del Purgatorio, perduta, per la cappella del Rosario della chiesa di San Domenico a Brescia, distrutta nel 1883.
La grande tela celebra la vittoria navale del 7 ottobre 1571 che contrappose le potenze cattoliche occidentali e l’Impero ottomano per il controllo del Mediterraneo e che presto divenne un evento simbolico e di propaganda. Presenta uno spazio tripartito verticalmente e orizzontalmente, con la sanguinosa battaglia relegata al secondo piano, in un mare buio che ribolle tra scontri di galere e soldati, incendi e fumi d’artiglieria, tracciata da una pittura veloce e sfaldata.
In primo piano, i vincitori. Gruppi plastici di tre figure si ripetono in sequenza, con veri ritratti lavorati da colore e luce. Al centro, i tre promotori della Lega Santa, Filippo II re di Spagna, papa Pio V e Alvise I Mocenigo doge di Venezia, in atto di ringraziamento, con i rispettivi simboli del potere poggiati sul sontuoso tappeto orientale: la corona, la tiara e il copricapo dogale. A sinistra, le tre Virtù teologali, Carità, Speranza e Fede. A destra, i tre ammiragli che vinsero la flotta musulmana nel golfo di Corinto: Marcantonio II Colonna, don Giovanni d’Austria e Sebastiano Venier; infine, l’autoritratto di Palma il Giovane. E ancora, nella parte alta, decurtata, comparivano su nuvole la Trinità, la Vergine e Santa Giustina, patrona dell’evento, accompagnati da angeli, visibili in un bozzetto di collezione privata. Di questo stuolo celeste non resta che un braccio a reggere un frammento di una palma della vittoria.
Di ritorno a Venezia dopo il soggiorno romano, Palma era ormai un affermato maestro sullo scorcio del Cinquecento e inizio Seicento nel panorama pittorico della città lagunare, capace di reinterpretare il linguaggio di Tiziano e Tintoretto. A queste date l’artista, dalla produzione vastissima, si era già misurato su tematiche celebrative, coinvolto in cicli di grande prestigio, come quello della sala del Maggior Consiglio di Palazzo Ducale. Tra i molti committenti figurava anche il duca Carlo Emanuele I di Savoia che nel 1582 gli affidò l’incarico di celebrare il padre Emanuele Filiberto con il dipinto raffigurante la Battaglia di San Quintino (Torino, Musei Reali-Palazzo Reale).
Opera matura, dunque, la Battaglia di Lepanto per vicende ancora da ricostruire entrò, probabilmente già a fine Ottocento, nelle collezioni del marchese Silvio della Valle di Casanova e della moglie Sophie Browne conservate nella loro Villa con parco arredata in stile neorinascimentale.
Le ricerche svolte in anni recenti (Cristina Moro, 2014) hanno consentito di identificare e riportare alla luce quest’opera che si credeva ormai perduta. Forse è proprio per adattare il telero, con la cornice dorata, alla parete della sala della Musica di Villa San Remigio, che è stata tagliata la metà superiore. Così appare nelle foto storiche che mostrano inoltre, accanto al telero, proprio le due Allegorie di Veronese, anche queste «scoperte» grazie agli ultimi studi.
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