Mostra Play. - videogame arte e oltre - Hiro, by Silvio Giordano

E.T.

Siete pronti a inforcare una bicicletta e volare sopra il cielo della vostra città? Se state pensando a una bicicletta con il cestino, un ragazzino con una felpa rossa e un alieno nascosto sotto una coperta avete fatto centro. La storia di questo podcast è quella del videogame di «ET» il film ideato e diretto da Steven Spielberg, uscito nel 1982, che ebbe un successo senza precedenti al botteghino. Dalla sua uscita a oggi ha incassato 1,3 miliardi di dollari e nel 1994 è stato scelto per essere inserito nel National Firm Registry della Biblioteca del Congresso degli Stati Uniti, consegnandolo all’eternità.

Nei primi anni ‘80 Steven Spielberg era un giovane cineasta che già aveva raggiunto il successo, ma il risultato eccezionale che ET ottenne al botteghino lo fece entrare di diritto tra i più apprezzati registi dell’epoca. Una sera, mentre era a casa, ricevette una telefonata proveniente da New York. All’altro capo del telefono c’era Manny Gerard, uno dei boss della Warner Communications Inc. I due si conoscevano bene e avevano già lavorato insieme quando si era trattato di trasformare il primo Indiana Jones in un videogame. Dopo il successo enorme di quel gioco, che aveva fatto divertire migliaia di players, la Warner propose a Spielberg di ripetere la stessa operazione con ET. Lui chiese chi ci avrebbe lavorato e Gerard gli dette carta bianca.

Vi starete domandando che c’entri la Warner con i videogames. Domanda corretta.  Nel 1976 la Warner aveva acquisito la Atari, una delle game company che avevano rivoluzionato il mercato del videogame e che in pochissimo tempo ne era diventa la regina.

La storia della Atari inizia con Nolan Busnell, studente di Ingegneria all’Università dello Utah e d’estate inserviente in un parco divertimenti per pagarsi gli studi. Durante i momenti di pausa Busnell cominciò a contare il numero di monete che i giocatori inserivano nei giochi e si rese conto che gli introiti erano altissimi. In ottobre, una volta ritornato nel campus dell’Università dello Utah, si ritrovò con l’amico Ted Dabney a chiedersi come fare a trasformare il loro amore per i videogames in un lavoro. Senza pensarci troppo su, la mattina dopo si presentarono alla Camera di Commercio locale e presentarono tutti i documenti per fondare la Atari Inc.

La Atari originaria è stata la prima azienda di videogames che ha materialmente portato i propri prodotti nelle case delle persone grazie all’Atari 2600, la sua prima consolle. Il prezzo di vendita era di $199 – circa $948 di oggi – e includeva la consolle, due Joysticks, due racchette, e una cartuccia con 4 giochi, tra cui Pong. Il suo nome deriva dal giapponese ed è connesso con il gioco nipponico Go. Pong  fu un successo pazzesco e permise alla Atari di guadagnare 3,5 milioni di dollari nel solo primo anno di uscita del gioco.

Fu all’apice del successo che Busnell e Dabney vendettero la Atari alla Warner Communications per una cifra stimata tra i 28 e i 32 milioni di dollari. Un’operazione senza precedenti, che proiettò nella storia la Atari come la business company statunitense più veloce ad avere raggiunto quel valore. Per la Atari fu l’inizio di un successo planetario in gran parte dovuto alla visione di Raymond Kassar, CEO della Warner, che portò la compagnia a vendere milioni di Atari 2600. I dati erano eccellenti e in quegli anni gli introiti della compagnai pesavano positivamente sul bilancio generale della Warner per 1/3. Uscivano giochi nuovi ogni 6 mesi e i negozi venivano letteralmente assaliti dai giocatori che volevano accaparrarsene una copia per poi volare a casa e giocare.

La prima crisi dei videogames era però dietro l’angolo, e nel 1983 la Atari chiuse con perdite superiori ai 500 milioni di dollari. All’inizio di quell’anno l’intera industria dei videogame aveva ricavi 3,2 miliardi di dollari. Nel 1985 crollò a soltanto 100 milioni di dollari di utili. Questo provocò la chiusura di moltissime aziende del settore e il conseguente licenziamento di molte persone.

Il primo motivo del crack fu la saturazione del mercato. Praticamente ogni bambino aveva una consolle diversa e nessuno di loro poteva giocare insieme agli altri. Una situazione che uccide la condivisione, parte essenziale del gaming.

Il secondo motivo era la scarsa qualità dei videogames che uscivano. Le companies erano costrette a rincorrersi fra loro per creare e vendere più giochi possibili nel minor tempo possibile. Questo ovviamente fece sì che i videogames fossero di pessima qualità e i players cominciarono a non tollerare questo comportamento poco rispettoso nei loro confronti.

In questo clima per niente facile, l’Atari decise di uscire con ET, considerato il peggior videogame di tutti i tempi. Come sono andate le cose dopo quella prima telefonata? La Warner propose di affidare lo sviluppo di ET a Howard Scott Warshaw, uno dei programmatori di videogames di maggior successo. Il suo primo gioco Yar’s Revenge è stato il bestseller della Atari 2600 con un milione di copie vendute e nel 1982 Warshaw fu il game designer di di Indiana Jones e i Predatori dell’Arca Perduta, che aveva venduto poco meno di un milione di copie. Spielberg lo conosceva e apprezzava e così decise di accettare la proposta di Warner.

Com’è possibile che ET sia stato un fiasco totale che ha portato la Atari sull’orlo della scomparsa? I fattori del fallimento furono molteplici. Iniziamo col dire che Spielberg propose un accordo capestro alla Warner sui diritti per l’utilizzo del brand di ET: ventidue milioni di dollari. Follia pura.

Ci furono poi gli strettissimi tempi di lavorazione. Per i precedenti videogames Warshaw ebbe a disposizione circa sei mesi di lavoro, mentre per ET lui e e il suo team ebbero a disposizione solo sei settimane per sviluppare, testare e commercializzare il gioco prima che venisse spedito nei negozi per le festività natalizie. Questo tempo così risicato è oggi uno dei motivi per cui molti esperti di videogames hanno rivalutato il lavoro di Warshaw. Lui dal punto di vista tecnico aveva consegnato nei tempi richiesti.

Il vero problema però fu il gameplay di ET. Il player doveva aiutare il piccolo alieno a recuperare 3 pezzi del proprio telefono per poter contattare Elliot, all’interno di decine di buche presenti nei vari livelli. Una volta completate le quest potevi chiamare Elliot. L’incontro tra i due amici si risolveva con Elliott che veniva graficamente inglobato da ET. Davvero. A questo punto il player si gettava in ogni buco, letteralmente ogni buco presente nel game per trovare un fiore. Praticamente ET diventava un saltatore di fosse. Una volta trovato il fiore, questo si trasformava in uno Yar e volava via. A questo punto dovevi trovare i 7 pezzi di Reese, che erano dei miniquadrati che si trovavano nei vari ambienti. Finita anche questa seconda quest il player doveva spostarsi nel piano astronave e chiamarla per andarsene. Partiva un timer e tutto era pronto per l’atterraggio. Arrivava l’astronave e finiva il primo livello. Il secondo livello? Ripetere la stessa operazione. L’unica differenza è che il fiore si trasformava in Indiana Jones. Finito il livello. Ripetere la stessa operazione. Ripetitivo certamente, ma questo era lo schema di molti dei giochi arcade di quegli anni.

Alcune settimane dopo l’uscita del videogame ET registrò un milione e mezzo di copie vendute, poi qualcosa si inceppò e le vendite crollarono. Un paio di mesi dopo Warshaw aprì le riviste specializzate e lesse che la Atari stava ritirando le cartucce del videogame dal mercato. Perchè? Ne avevano prodotte troppe. Quattro milione di copie. Un’enormità. La Atari non sapeva che farsene di un prodotto che non aveva funzionato e così decise di seppellirlo. Davvero, prese tutte quelle cartucce e le seppellì. Warshaw se ne andò qualche mese dopo e oggi fa lo psicoterapeuta.

A questo punto della storia ci trasferiamo ad Alamogordo, una piccola cittadina nel New Mexico di circa 30.000 abitanti. Le cartucce furono sepolte proprio qui nel 1983. Per anni si era vociferato negli ambienti videoludici della possibilità che nella discarica di Alamogordo la Atari avesse sepolto tutte le cartucce invendute e restituite di ET, ma nessuno le aveva mai ritrovate.  Fino al 1994, quando un abitante del luogo individuò una zona che per lui corrispondeva a quella del possibile seppellimento. Lo scavo durò alcune settimane e sul principio sembrò non avere esito. Lo stesso Warshaw si palesò. Poi una mattina emerse una prima cartuccia di ET e successivamente molte altre, ma non così tante come si pensava, perché lo scavo stava mostrando un’altra verità, qualcosa di completamente diverso da quello che tutti si erano figurati per 40 anni. Sotto quei detriti riemersero infatti cartucce di tutti i videogame della Atari. I camion che erano arrivati fin là non l’avevano fatto per insabbiare un fallimento, ma per liberarsi degli eccessi di magazzino di una società in crisi. Warshaw si sentì sollevato e un applauso partì dalla folla nella sua direzione. Oggi la Contea di Alamogordo è l’unica proprietaria delle cartucce della Atari 2600 ET sepolte nel proprio territorio. Ci costruiranno attorno un museo o le venderanno al miglior offerente.

ET è passato alla storia come il gioco peggiore mai fatto e Warshaw si è preso colpe che non aveva. Lui e la sua creazione sono diventati il capro espiatorio per spiegare ai media e all’opinione pubblica la grande crisi che travolse la Warner nel 1983. Oggi possiamo dire che una società guidata da uomini ingordi ha portato alla scomparsa della prima grande gloriosa casa di produzione di videogame statunitense. La Atari è stata la prima a introdurre un device di massa nelle case di tutti i cittadini e intere generazioni di players sono cresciute grazie a lei. Un bene passato di generazione in generazione di cui saremo sempre grati a Busnell, Dabney e Warshaw. Non siete d’accordo?

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