Mostra Play. - videogame arte e oltre - Hiro, by Silvio Giordano

Red Dead Redemption

L’Italia è una delle patrie del western e a Roma è nato uno dei suoi più grande cantori, il regista Sergio Leone. Nella decade ‘70/’80 del ventesimo secolo lo spaghetti western – il nomignolo con cui veniva definita all’estero la nostra produzione di quel genere – ha permesso alla nostra industria cinematografica di diventare la seconda a livello planetario, insidiando il primato di Hollywood. Le produzioni italiane erano centinaia l’anno e venivano distribuite nei cinema di tutto il mondo. Molti di questi film hanno fatto la storia del cinema e hanno portato sugli schermi innovazioni tecniche e narrative mai viste prima: i primi piani veloci, le riprese degli immensi paesaggi che ti fanno sognare di essere nel Far West anche se poi sono state girate in Ciociaria o ad Almeria, gli scontri all’ultimo sangue sotto un solo cocente, le colonne sonore che ti fanno entrare in profondità nell’immagine più di mille parole. Ecco sì, avrete capito che il western ci appassiona molto. Che c’entra però con i videogames? La saga di Red Dead Redemption.

I due titoli che la compongono potrebbero non dirvi niente oppure potrebbero dirvi molto – anche se il padre di entrambi è di qualche anno prima e si chiama Red Dead Revolver. Quel che possiamo dire con certezza è che Red Dead Redemption è un ciclo di videogame ambientati tra il 1899 e il 1911 alla fine del vecchio West, quando la modernità stava avanzando sulle rotaie dei nuovi fiammanti treni a vapore lungo le praterie, divorando quel che rimaneva di un mondo leggendario.

Nel primo videogame della saga di Red Dead Redemption il player veste i panni di John Marston, un fuorilegge che ha perso i genitori da bambino – il padre ucciso in una sparatoria da Saloon e la madre una prostituta che è morta dandolo alla luce – ed è cresciuto in un orfanotrofio. Una volta raggiunta l’adolescenza si unisce a una banda di fuorilegge capeggiata da un famoso criminale, Dutch Van der Linde, che gli farà da padre putativo. Il player trova Marston tranquillo nella sua fattoria con moglie e figlio, finché un giorno arrivano i federali che lo costringono a dare la caccia ai suoi ex soci per salvare la sua famiglia. Marston è eccezionale come protagonista. È legato a un codice personale che lo porta ad avere rispetto per gli altri, anche quando sta per ucciderli a colpi di pistola. Accanto alla linea narrativa orizzontale – la trama principale – ce ne sono moltissime verticali ed è grazie a queste side quest che si riesce a entrare ancora più addentro all’ambientazione e alla vita com’era nel Far West. Il gioco è un crescendo di emozioni che porta il giocatore a mostrare grande empatia nei confronti di Marston fino al finale perché… non penserete mica che vi spoileriamo che cosa succederà a Marston? Starà a voi decidere se dargli fiducia e farci un giro sopra oppure se più prosaicamente alla fine di questo episodio aprire la app di YouTube e andare a cercare il video «Come finisce Read Dead Redemption 1».

Il secondo episodio è ambientato 20 anni prima circa dal primo e il player vive le avventure della banda di Dutch Van der Linde. Un flashback su alcuni personaggi che il player ha affrontato da nemici e che ora sono suoi compagni d’avventura, anche se i panni vestiti sono quelli di Arthur Morgan, uno dei membri della banda.

Read Dead Redemption 2 è un videogame su cui non abbiamo parole o meglio ne avremmo milioni e questo episodio potrebbe durare almeno 10 ore per raccontare nel dettaglio la maestosità di questo prodotto videoludico. Però su quella che è la grandissima innovazione della saga di Red Dead Redemption ci possiamo soffermare almeno per la prossima ora. Naturalmente sto scherzando! Basteranno i prossimi minuti per dire che l’open world di questa saga è una creazione mai vista di prima. La forte connessione tra racconto e interazione con il mondo circostante permette infatti al player di vivere un’esperienza completamente nuova, perché se è vero che la Rockstar Games – la casa di produzione di questi videogames – è diventata famosa per Grand Theft Auto, il cui open world ha fatto da apripista al resto del mondo videoludico, con la saga di Red Dead Redemption il salto di qualità è di milioni di passi in avanti.

Siamo di fronte a un prodotto che scuote le fondamenta dell’idea stessa di mondo immersivo, perché tutto ciò con cui il player interagisce è vivo ed esiste indipendentemente dal giocatore stesso. Una vera rivoluzione, che porta il realismo con grande forza all’interno dell’ambiente videoludico. Il player interagisce con un ambiente la cui narrazione non è controllata al 100% dalla trama, che sia quella principale o quella secondaria, e questo fa vivere quel senso di libertà che è proprio di quegli spazi immensi di cui si nutrono le leggende sul West.

Anche dietro ai due capolavori di Red Dead Redemption c’è ovviamente un team di game creators di altissimo livello. La Rockstar Games, la casa di produzione del videogame, è stata fondata negli Stati Uniti nel 1998 da Sam e Dan Houser, Terry Donovan, Jamie King e Gary Foreman. Una delle particolarità dell’azienda è che fin dal 1999 ha cominciato ad acquisire altri studi di lavoro, che poi sono diventati vere e proprie divisioni che si occupano di commesse specifiche. Il grande successo commerciale è arrivato con l’uscita di Grand Theft Auto – più comunemente conosciuto come GTA – un open world ambientato nel mondo della criminalità organizzata. Stiamo parlando del quinto franchise per vendita nella storia dei videogames. I numeri sono da capogiro: 375 milioni di copie vendute fino ad oggi; ma i riconoscimenti per la Rockstar non sono stati solo puramente economici. I premi per i loro videogames sono arrivati a pioggia. Nel 2014, durante il British Academy Games Award, hanno vinto il BAFTA Academy Fellowship Award, con questa motivazione: «Abbiamo deciso di premiare Rockstar Games perché creando mondi interattivi intricati e stratificati, hanno mantenuto l’azienda all’avanguardia dell’industria videoludica per oltre un decennio, sia dal punto di vista critico che commerciale».

Innovazione, visione e partecipazione. Sono questi i tre grandi pilastri su cui si regge la filosofia di Rockstar Games. Il player è al centro di un mondo in cui deve sentirsi libero di decidere che cosa fare, senza per forza stare nei binari della storia che i game designer hanno pensato per lui. Dan Houser, in un’intervista rilasciata nel 2011 a Famitsu – magazine giapponese sul mondo dei videogames – dice: «È nel nostro DNA evitare di fare quello che fanno le altre aziende. L’obiettivo di Rockstar è far sì che i giocatori sentano davvero quello che stanno cercando di fare. I nostri giochi finora sono stati diversi da qualsiasi altro genere esistente e non ci siamo affidati agli esempi presenti su un manuale di economia per fare quello che abbiamo fatto. Se creiamo il tipo di giochi che vogliamo, allora crediamo che la gente li comprerà».

Vi ricordate che all’inizio di questo episodio vi abbiamo parlato della connessione tra il western e l’Italia. Anche nella saga di Red Dead Redemption c’è lo zampino di un genio italico. Si tratta di Christian Cantamessa, che ha partecipato come uno degli autori. Nato a Savona nel 1976, vive da molti anni negli Stati Uniti. Pur continuando a collaborare con Rockstar Games, nel 2018 ha fondato la Sleep Deprivation Lab, con cui ha partecipato alla creazione di grandi prodotti come Forza Horizon. Amante dei videogame fin da ragazzo, è partito dalla provincia italiana per arrivare ai più alti livelli del game designing.

Provate la saga di Red Dead Redemption perché è uno dei più grande viaggi che un player possa fare in un videogame. Il Far West torna a essere il simbolo di una libertà, che cosa sognare di più grande e vasto di questo?

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