Il triste inverno del 1716

A febbraio, nel Settecento, Venaria era vuota. Né principi né cortigiani popolavano le sue sale. Il suono di tacchi e bastoni lasciava posto all’ovattato silenzio dell’inverno. Forse solo i giardinieri, più usi a parlar con le piante che con gli uomini, apprezzavano il rigore della stagione, raccogliendo nella citroniera gli agrumi, che inviavano a Torino per trarne le bevande da servire a palazzo.

Le corti avevano un calendario. Quello dei Savoia prevedeva che la corte fosse a Torino da Natale alla Festa della Sindone (più meno, quindi, da metà dicembre a inizio maggio), per poi spostarsi il resto dell’anno nelle residenze di campagna. Da dicembre a febbraio, per poco più di due mesi, nella capitale s’accendevano le luci dei teatri e risuonavano le musiche dei balli di corte: era quella la stagione più splendente di Torino.

Vi furono, però, delle eccezioni: una – la più importante – nell’inverno fra 1715 e 1716.

Per Anna e Vittorio, re di Sicilia dal 1713, quello fu un momento di dolore e di tristezza. Da quando, il 1° ottobre 1714, erano rientrati dall’anno trascorso nell’isola, le brutte notizie s’erano susseguite, rapide e drammatiche. Un primo segnale era arrivato, in realtà, quand’erano ancora a Palermo. Nel febbraio 1714, infatti, era morta a Madrid la loro figlia più giovane: Maria Gabriella, regina di Spagna. Una scomparsa che colpì molto i sovrani e che avrebbe avuto gravi conseguenze politiche (nuova regina divenne, infatti, Elisabetta Farnese, acerrima nemica dei Savoia).
Ma il colpo più grave era stato il 22 marzo 1715. La Quaresima era appena iniziata quando era morto, per un violento attacco di vaiolo, il loro primogenito Vittorio Amedeo Filippo, appena sedicenne. Per Anna e Vittorio il dolore era stato insopportabile. Mentre la regina aveva sparso le lacrime sui libri di preghiere, il re aveva alternato fasi di silenziosa depressione a improvvise esplosioni di rabbia.

Subito dopo la morte del giovane, i sovrani s’erano trasferiti a Venaria. Alla fine di maggio erano partiti per un lungo soggiorno in Savoia, da dove erano tornati a ottobre. A Torino si sperava che dopo oltre sei mesi di lontananza i sovrani finalmente rientrassero nella capitale. Ma per Anna e Vittorio il dolore era ancora troppo forte.

Inoltre l’annus horribilis non era ancora finito. Il 1° settembre 1715, infatti, morì Luigi XIV. Il Re Sole era stato il nemico di sempre. Ma anche un modello. E  uno stretto parente: prozio di Vittorio e zio di Anna, che era cresciuta alla sua corte. E poi per gli uomini – quelli degni di questo nome – un grande avversario è importante quanto un amico. Una cosa che pavidi e codardi non possono capire, ma Vittorio non era certo uno di loro. Con la morte di Luigi XIV, insomma, si chiudeva un’epoca. Anche il re di Sicilia cominciava a sentire il peso del tempo.

L’8 settembre, infine, era morto il diciannovenne principe Tomaso di Carignano, che Anna e Vittorio avevano amato come un figlio. Il loro mondo si riduceva ogni giorno di più.

Rientrati dalla Savoia, non vollero allora rientrare a Torino. Palazzo Reale evocava ricordi troppo dolorosi. Fecero quindi ritorno a Venaria. E qui restarono sino al novembre 1716.

Per un anno e mezzo, Venaria fu, quindi, il luogo in cui la coppia cercò di elaborare un lutto troppo grande per viverlo a Torino, dove tutti vedevano tutto. Ben diversamente avevano immaginato gli anni successivi alla conquista della corona reale.

Nello stesso tempo, però, la reggia sulla Ceronda fu anche il luogo dove costruirono il futuro che ancora restava. Nelle sue sale Anna e Vittorio ricevevano, infatti, non solo ministri e diplomatici, ma anche Juvarra che presentava loro i suoi progetti per trasformare Torino. E in quelle stesse sale iniziarono ad occuparsi dell’educazione del secondogenito, quel Carlo Emanuele III che sino allora avevano un po’ trascurato. Forse anche per questa ragione, questi avrebbe avuto un rapporto particolarmente stretto con Venaria.

Nel giugno del 1716, quando le nevi di febbraio avevano lasciato spazio ai colori della primavera, le Lettres historiques potevano raccontare all’Europa che «Le prince de Piemont s’occupe maintenant au siege d’un fort qu’il a faite elever à la Venerie, et il en commande l’attaque avec tant de jugement et de bonne conduite, qu’on ne doute pas qu’il ne se rende bientot capable des plus grandes choses».

L’inverno del 1717 avrebbe rivisto Torino risplendere di luci e colori. E a Venaria sarebbero restati, silenti, i giardinieri a raccogliere arance.

Andrea Merlotti, direttore del Centro studi delle Residenze Reali Sabaude

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