Pokèmon
Questa storia è una di quelle storie in cui la realtà supera la fantasia. Inizia in Giappone, negli anni Sessanta del XX secolo. In quegli anni il Paese del Sol Levante aveva da poco superato gli orrori e la distruzione della seconda guerra mondiale e da nazione sconfitta aveva pagato un prezzo terribile, con le due bombe atomiche sganciate dagli americani su Hiroshima e Nagasaki nell’agosto del 1945 a guerra ormai finita. Ben presto però il Giappone era diventato la terza potenza economica mondiale, e aziende come Hitachi, Toshiba, Sony e Panasonic erano entrate stabilmente nella TOP 10 dei colossi societari. Il Giappone ha creato un vero e proprio miracolo economico (Kōdo keizai seichō), guidato dall’elettronica e dall’industria automobilistica. L’innovazione tecnologica ha fatto da tramite per far uscire il paese dal feudalesimo e proiettarlo nel futuro.
Quello post-bellico è senz’altro un periodo straordinario, in cui però cominciarono a germogliare i semi di un male sociale che nelle ultime decadi non smette di colpire il Giappone, che è uno dei paesi con il più alto tasso di suicidi al mondo, e la nazione dove nascono meno bambini. Per contrastare la pratica di lanciarsi sotto un treno in corsa, è stata approvata una legge che obbliga i parenti del suicida a pagare una multa fino a 2 milioni di dollari. Soluzioni pratiche a tragedie dettate dalla solitudine e dalla meccanizzazione lavorativa che stava prendendo il sopravvento nel paese.
Nel frattempo però, in un piccolo villaggio della campagna giapponese, stava crescendo un uomo destinato a farci sognare e giocare. Figlio del miracolo economico post-bellico, Satoshi Tajiri nasce il 28 agosto del 1965 a Machida, a quel tempo un villaggio da cartolina a 50 km da Tokyo, ricco di foreste, colline verdi, casette di legno e ruscelli. Suo padre è un venditore Nissan, sua madre una casalinga. Satoshi è indubbiamente un ragazzo speciale, ma speciale a modo suo; è maniacale e ossessionato dalle sue passioni. Amante degli insetti, passa intere giornate nei campi lontano da casa cercando di catturarne il più possibile ed escogitando sempre nuovi modi per attirarli in trappola. I suoi amici lo chiamano Dr. Bug, perché a volte si incanta per ore nel guardare quelle piccole creature mentre combattono nel loro habitat. Quando ha iniziato a collezionarle, bussa a tutte le case del suo villaggio chiedendo di scambiare esemplari con quelli degli altri collezionisti, così da accaparrarsi i più rari. Insomma, Tajiri è un entomologo mancato, una di quelle persone particolari che studiano gli insetti. Quando era costretto a rimanere in casa, passava invece le ore davanti a manga e anime come Godzilla e Ultraman. Insetti e fumetti saranno due mondi che influenzeranno per sempre i suoi immaginari.
La vita di Tajiri avrebbe seguito il suo corso, fatto di scarso rendimento scolastico e completa ossessione per le sue passioni, se due avvenimenti non avessero modificato la traiettoria della sua giovane esistenza. A Machida, il villaggio in cui viveva, ci fu un tumultuoso boom edilizio, che lo portò a diventare nel tempo parte dell’area metropolitana di Tokyo. Gli alberi, i ruscelli e le radure silenziose cedettero il passo a grandi edifici, centri commerciali e tangenziali. Un villaggio di 70.000 anime triplicò la sua popolazione in pochissimi anni, e questo cambiò per sempre i paesaggi e le relazioni sociali. Satoshi fu segnato irrimediabilmente dalla mutazione del panorama che amava, tanto che si ripromise di conservare e trasmettere alle future generazioni le emozioni che aveva provato durante le sue esplorazioni in campagna e il senso di sorpresa che la natura gli aveva regalato.
Mentre Machida diventava una città, in Giappone sul finire degli anni Settanta nasceva l’industria dei videogiochi. Anche Satoshi non ne rimase immune. Tutti i giorni spendeva ogni singolo yen a sua disposizione nelle sale giochi che erano state aperte e spesso disertava la scuola per trascorrere ore e ore davanti a cabinati. Il suo gioco preferito era “Space Invaders, uno sparatutto verticale dove bisogna difendere la Terra dagli attacchi degli alieni. Tra centinaia di cabinati lui sceglieva sempre lo stesso. Soltanto Space Invaders dava pace alla sua voglia irrefrenabile di giocare, e alla fine il proprietario della sala giochi, pur di toglierselo dai piedi, decise di regalargli il cabinato.
In famiglia lo consideravano una specie di criminale, perché non aveva una vita sociale “normale”, e piangevano continuamente per questo figlio così atipico e fuori dagli standard. Tra una sessione a “Pac-Man” e una a “Missil Command”, Satoshi riuscì faticosamente a diplomarsi allo Junior College nel 1980, e a quel punto i genitori provarono a trovargli un lavoro come elettricista alla Tokyo Electric Power Company. Lui declinò l’offerta ma in cambio accettò di frequentare un corso al National College of Technology di Tokyo.
In realtà non era né un criminale né un pazzo, ma semplicemente un ragazzo i cui neuroni viaggiavano al triplo della velocità dei suoi coetanei, con una creatività e un’intelligenza abbacinanti, tipiche di chi è stato toccato da quella che oggi potrebbe essere diagnosticata come sindrome di Asperger. Questo aspetto non è mai stato confermato dalle persone a lui vicine, ma sarebbe stato comunque in buona compagnia di Albert Einstein, Vincent Van Gogh, Stanley Kubrick, Jane Austen e molti altri. Tutti questi straordinari personaggi soffrivano di una persistente compromissione delle interazioni sociali, con schemi di comportamento ripetitivi e interessi in alcuni casi molto ristretti, ma questo non impedì loro di creare e immaginare quelle che oggi sono alcune delle pietre miliari dell’espressività umana.
Una volta capito che una vita tradizionale non sarebbe stata adatta a lui, Tojiri divenne un campione locale di videogiochi. Immaginiamolo in uno scantinato della Tokyo dei primi anni Ottanta. Fuori regnano caos e smog, mentre lui trascorre notti insonni per terminare ogni gioco su cui riusciva a metter mano. Poi ebbe un’intuizione: trasferire la sua ossessione in una rivista per giocatori. Nacque così “Game Freak”, che divenne ben presto il punto di riferimento per tutti coloro che volevano scoprire ogni trucco e ogni strategia per risolvere i loro videogiochi preferiti. Da una manciata di fogli prodotti a mano in cinque copie e distribuiti in un unico negozietto nell’area di Shinjuku – la più grande stazione ferroviaria al mondo, arrivò presto ad una tiratura da 10.000 copie per il numero speciale su “Xevious” di Namco. Un successo inaspettato, che trasformò la sua casa in una centrale produttiva. Alla fine anche la sorellina di Satoshi fu arruolata per affrancare i francobolli e spedire i pacchi ai destinatari, e la sua famiglia cominciò finalmente a capire che il loro ragazzo era davvero speciale, illuminato da una luce diversa.
Per uno scherzo del destino, la vetrina di un doujinshi store dov’era esposto Game Freak catturò l’attenzione del disegnatore Ken Sugimori, suo coetaneo, che scrisse una lettera a Satoshi per complimentarsi e per candidarsi come illustratore. Tajiri lo accolse nella redazione e questo segnò la nascita di uno dei sodalizi artistici più importanti del Novecento. I guadagni generati da Game Freak furono investiti nella sua nuova ossessione: collezionare schede madre dei cabinati, e imparare a programmare. Satoshi non voleva più giocare e raccontare i prodotti altrui, era arrivato il momento di far giocare il mondo con le sue idee. Siamo nel 1980 quando partecipa e vince un contest indetto da SEGA, una delle più blasonate case produttrici di hardware e software videoludico: i Game Idea Awards. Con un montepremi in tasca di 100.000 yen e dopo una visita al quartier generale della casa di Sonic, acquista il suo primo computer, il NEC PC-8001.
Mentre nel mondo si assisteva alla caduta del muro di Berlino, Satoshi Tajiri decise di trasformare Game Freak da casa editrice a software house, lavorando notte e giorno insieme agli amici Ken Sugimori e Junichi Masuda nella sua piccola casa di Machida. L’esordio di Game Freak come developer avvenne il 27 giugno 1989 con “Quinty”, anche noto in Occidente come “Mendel Palace”. Un gioco mediocre dal sapore fortemente arcade, che venne pubblicato da Namco e riuscì, comunque, a vendere oltre 200.000 copie in Giappone.
Nel 1990, all’età di 25 anni, vedendo due ragazzi che si scambiavano dati attraverso il cavo link che collegava i loro Game boy, tutto d’un tratto il suo passato tornò con prepotenza a farsi vivo e lo spinse a concepire l’idea di un videogioco in cui i giocatori avrebbero potuto catturare mostri, scambiarli e farli combattere tra loro. Dopo 6 lunghi anni di sviluppo in cui mise tutto se stesso, arrivando a lavorare anche per 20 ore al giorno, il 27 febbraio 1996 Pokémon uscì sul mercato e ben presto divenne il successo planetario che tutti noi conosciamo.
Anime speciali tendono a riconoscersi anche senza tante parole. Shigeru Miyamoto – padre di “Super Mario Bros” – è stato uno dei più grandi sostenitori di Satoshi. Nonostante i soli 13 anni di differenza ne divenne presto il mentore, cooptandolo nel team di sviluppo di “The Legend of Zelda” per Nintendo ma anche di “Yoshi” e “Wario and Mario”. Senza questo rapporto creativo così intenso, probabilmente i Pokémon non sarebbero mai nati. Fu Miyamoto infatti a convincere Nintendo a sostenere il progetto di Tajiri, vedendo in quell’idea così particolare un’enorme potenziale. Pur nella sua natura schiva, Satoshi non ha mancato di sottolineare l’importanza rivestita dal suo maestro, e non è un caso che il rivale principale dei giochi di prima generazione dei Pokémon (e dei loro remake) si chiami “Shigeru” nella versione originale in giapponese – proprio in onore di Myamoto.
Non sappiamo se il destino sia già tutto scritto o se siamo tutti trasportati in giro per caso come da una brezza… ma, come diceva Forrest Gump, io credo che, forse le due cose capitino nello stesso momento. Nel 1995 Satoshi aveva esaurito tutti i soldi e il gioco dei Pokémon non era ancora terminato. Numerosi dipendenti lo abbandonarono e lui stesso rinunciò a lungo a uno stipendio, al punto da dover tornare a vivere con il padre. Fu allora che una società, Creatures, gli concesse un piccolo finanziamento di poche decine di migliaia di euro. Oggi quella società detiene un terzo di THE POKEMON COMPANY insieme a Game Freak e Nintendo. Un ritorno sull’investimento straordinario se pensiamo che oggi il franchising transmediale dei Pokémon vale oltre 100 miliardi di dollari, molto più di Star Wars ed Harry Potter.
“Solo ora capisco che il modo in cui si viene al mondo è irrilevante, è quello che fai del dono della vita, che stabilisce chi sei”. E per Satoshi i videogiochi sono stati la sua stessa vita ed una ossessione che è diventata stella polare.
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